RASSEGNA STAMPA WEB del 29 giugno 2013 …”Io sono ancora qua”

COMITATO NAPOLETANO BERSANI PRIMO MINISTRO

 

RASSEGNA STAMPA

 

sabato 29 giugno 2013

Bersani braccialetto di Vasco 2

IO SONO ANCORA QUA

L’inseparabile cimelio di Bersani: il braccialetto del Tour di Vasco (…)

Il 26 giugno, presso l’Auditorium della Conciliazione in Roma si è svolto l’incontro organizzato dalla Alleanza Cooperative Italiane , l’occasione per illustrare le proposte che il mondo cooperativo vuole avanzare per contribuire alla ripresa dell’economia e all’affermazione di un modello di sviluppo più equo. Ai lavori ha partecipato anche il premier Enrico Letta.

 Ma si è notato un particolare curioso, emerso dalle foto dell’Assemblea: l’on. Pier Luigi Bersani, che ha partecipato in prima fila all’Assemblea e fan “sfegatato” di Vasco Rossi, mostrava ancora il braccialetto usato per assistere al concerto del suo amatissimo cantautore. Bravo on.le Bersani… “Io sono ancora qua” !!!

Bersani braccialetto di Vasco 3

Pd, Fassina sfiderà Renzi alle primarie per la segreteria (…)

Corteo Fiom, Maurizio Landini e i suoi a palazzo larghe intese: Zanonato ci ha ricevuto. Ora i fatti (…)

Fiat, Manifestazione Fiom a Roma. Maurizio Landini attacca Enrico Letta: “Da governo interventi insufficienti” (…)

«Se Prodi non fosse caduto sarebbe cambiata la storia» (…)

Prodi: nessuno decide più nulla il modello sociale è Ponzio Pilato

ROMA — Secondo l’ex premier Romano Prodi «Ponzio Pilato è diventato il modello della nostra vita collettiva. Io sono un ciclista e fino a vent’anni fa sulle fontane c’era scritto “Acqua potabile” o “Acqua non potabile”». Oggi invece «trovo scritto “Acqua non sottoposta a controlli” e questo è il simbolo di una struttura collettiva che non ha nemmeno più il coraggio di dire se l’acqua è pulita». Secondo Prodi, inoltre, siamo di fronte «a un sistema politico così pieno di regole che nessuno si sente più in grado di prendere le decisioni».

L’ALTRA “ALA” DEL PD

La conferenza stampa di Letta da Bruxelles (…)

Accordo a Bruxelles su fondi per i giovani e aiuti alle Pmi (di S. Bianchi e B. Romano)

L’Ue sblocca i fondi per i giovani dopo l’accordo sul bilancio (…)

LA POLITICA DEL GOVERNO

Il Governo studia un superprelievo su pensioni e stipendi d’oro (…)

 

E NIENTE, E’ PRIMAVERA, TEMPO DI CAMBIAMENTI, ACHE SE IL CLIMA NON LA RACCONTA PROPRIO COSI’

IN … ECODEM

Pd/ Oggi, sabato 29 giugno, assemblea Ecodem a Roma con Epifani e Orlando. 250 delegati ed ospiti da tutta Italia. Evento in diretta Youdem (…)

 

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GIOVANNA CASADIO
ROMA — «Mi sembra più che altro  una grande precarietà di candidature  nel Pd in questi giorni…  ». Debora Serracchiani è impegnata  nel suo ruolo di “neo governatrice”  del Friuli, ma da Ettore  Rosato, coordinatore di Areadem,  la corrente di Franceschini, è stata “sondata”, per vedere se è disponibile a correre per la segreteria.  Un tentativo, per ora lasciato  lì a decantare. I cattolico democratici  di Franceschini lavorano  a una mediazione che possa ricomporre lo specchio frantumato  che il partito è diventato, in vista del congresso che sceglierà il successore di Epifani. Tante correnti, tanti candidati e su tutti domina Matteo Renzi, il sindaco “rottamatore”, sempre più in campo, ma anche incerto nel timore  di regole-trabocchetto fatte  apposta per ostacolarlo.
  Non basta a Renzi e ai renziani la rassicurazione di Epifani: «Voglio  rassicurare Matteo, non abbiamo  intenzione di fregare nessuno,  le regole per il congresso saranno condivise e la data non slitterà al 2014, si terrà entro il 2013». È in questa zona d’indecisione  che la corrente di Franceschini sta tessendo la sua tela con doppia offerta: a Serracchiani la sfida per la segreteria e a Renzi quella a cui il sindaco fiorentino tiene davvero, la premiership. Su Serracchiani potrebbero convergere  anche i bersaniani, che in questo momento sono all’offensiva  da soli, e Rosy Bindi, i lettiani.  Renzi accetterebbe il patto? Il sindaco “rottamatore” a sua volta  sta scandagliando ogni possibilità,  alleanza, rapporto: nei giorni scorsi, oltre al pranzo con Nicola Zingaretti, il governatore del Lazio, è stato a cena con Vasco Errani. Errani, presidente dell’Emilia Romagna, è ancora tra i più ascoltati consiglieri di Bersani. Grandi manovre in corso, quindi. «Una cosa è certa, ed è che io sono  fermamente in campo»: annuncia  Gianni Cuperlo. Appoggiato  da D’Alema e soprattutto dai “giovani turchi”, la sinistra del Pd, Cuperlo martedì presenterà  il suo programma per la segreteria:  «Avrei preferito una cosa  che, mi hanno spiegato, è fuori  dal mondo: immaginavo che un congresso in due mesi si potesse  mettere in piedi. Ho preso atto, ora mi auguro che si faccia entro l’anno, va benissimo». Dichiara inoltre: «Non temo nessuno  » e propone la divisione tra il ruolo di segretario e quello di candidato premier. Cuperlo ha sentito ieri Stefano Fassina, che per Bersani è il “pupillo” da lanciare  nella corsa alla segreteria come candidatura alternativa aRenzi. Gli ha chiesto conto della ragione di una sua candidatura, tenuto conto che Fassina si era espresso in passato per Cuperlo. Il vice ministro dell’Economia ha intenzione di candidarsi davvero?  Non lo esclude: «Vedremo. Intanto i Democratici devono trovare una convergenza sul progetto  politico». E il 4 luglio con Bersani al Nazareno organizza una iniziativa al Nazareno invitando  tutti i leader.
  In corsa anche Pippo Civati; Gianni Pittella; un ecodem. Le candidature si moltiplicano. Epifani  però ribadisce che lui no, nonci sarà: «Confermo che non mi candiderò segretario al prossimo congresso. Le regole non le scrivo io, c’è una commissione». Che si riunirà l’8 luglio. Giuseppe Lupo, il segretario democratico siciliano,  tenterà una mediazione tra le posizioni sull’iter del congresso. In Sicilia qualcosa si muove: il Megafono, il movimento del governatore  Crocetta, dialoga con il Pd. «Dialogo è la parola giusta da usare con il Megafono, che può essere un valore aggiunto del partito e dare un contributo importante  », osserva Lupo.
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…… OUT

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CONTRO

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Respinto il ricorso dell’ex terrorista dopo la condanna per l’uso di timbri falsi sul passaporto (…)

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Il racconto del redento:

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E CHI VIENE RICICLATO

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CORRIERE

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MA LO IOR HA ALTRI GUAI ……

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il giornale

RASSEGNA STAMPA WEB del 20 giugno 2013 – Il racconto della politica

COMITATO NAPOLETANO BERSANI PRIMO MINISTRO

 

RASSEGNA STAMPA

 

giovedì 20 giugno 2013

Bersani con sigaro più grande

IL RACCONTO DELLA POLITCA

TIENE ALTO IL BANCO IL CONGRESSO PD

Il centrosinistra

 Pd, Renzi pronto a rompere con Letta “Le regole di Epifani favoriscono lui” . Il sindaco: se cercano di fregarmi me ne resto a Firenze

 

di GIOVANNA CASADIO

ROMA — L’ultima volta, a Firenze, si erano stretti la mano come per siglare un patto. Ma tra Matteo Renzi e Enrico Letta, se patto c’è mai stato, è già saltato. Sono i sospetti sul gioco al massacro dentro il Pd per penalizzarlo o addirittura impedirgli di candidarsi, che hanno irrigidito di nuovo la posizione di Renzi. «Vorrei che Epifani non cambiasse le regole. Queste, quelle cioè dello Statuto, vanno bene, e le date del congresso non si toccano, va fatto entro il 7 novembre. Non è serio cambiarle». È tornato alla carica il sindaco “rottamatore”. Nessun ritocco significa non prevedere neppure la distinzione tra leadership (del partito) e premiership, e confermare che il nuovo segretario sarà anche automaticamente candidato premier. È la vera faglia attraverso la quale passa la sfida tra Matteo e Enrico: lastaffetta per Palazzo Chigi.  Epifani l’ha detto chiaramente nella prima riunione del comitatone per le regole: «Se non facessimo questa distinzione, discrimineremmo Letta, non rendendogli possibile di presentarsi candidato premier la prossima volta». Ma vale anche il contrario: «Una clausola di salvaguardia per Letta significa che non vuole l’accordo con Matteo», è esplicito Dario Nardella, ex vice sindaco di Firenze. Il nodo vero sta per arrivare al pettine. Non è solo questione di primarie aperte (come chiede Renzi) oppure riservate agli iscritti (è la linea bersaniana), ma soprattutto la gara per la premiership. Il sindaco fiorentino non usa mezze parole: «Se vogliono fare le regole loro, se l’obiettivo del gruppo dirigente è“come ti frego il candidato”, ho una buona notizia per loro: io resto a Firenze tranquillo. La volta scorsa m’han fatto fesso, ora no. Mica ho scritto “giocondo” in fronte». Un trabocchetto nella candidatura a premier, Renzi non l’accetta. «Vorrei che il centrosinistra vincesse, anche con Mazinga…». Uguale (e contraria) ragione per cui Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria democratica della “gauche” e dei dalemiani, sostiene: «Non è pensabile per il Pd, che esprime il premier cioè Letta, fino all’altro giorno vice segretario delpartito, mentre lui è in carica eleggere un altro candidato premiersegretario. La distinzione è indispensabile ». E poi, basta — aggiunge — «io mi candido per fare solo il segretario del Pd. Non si può accettare l’idea che si fa il segretario in vista di un altro ruolo». A tal punto i fronti sono agguerriti, che Beppe Fioroni, leader dei Popolari, provoca: «Il Pd ha due uomini di punta: Renzi e Letta. Per non fare disparità di trattamento, se segretario e premier coincidono. chiedo a Letta di correre per la segreteria ». Ancora più tagliente Nico Stumpo sostiene che potrebbe estendersi una norma dello Statuto in base alla quale Letta è automaticamente ri-candidato a Palazzo Chigi. Il bersaniano Zoggia rincara: «Impossibile non toccare le regole».

 I democratici di Areadem, tentati di salire sul carro di Renzi, minimizzano lo scontro: «Matteo agita la questione regole per prendere tempo». Su tutto incombe «il segretario emerito». Così ironicamente in Transatlantico Antonello Giacomelli e Pierluigi Castagnetti chiamano Bersani. L’ex segretario è da giorni tornato sulla scena. «Sembra pensare a una candidatura per interposta persona… « osserva Matteo Orfini, leader dei “giovani turchi”. «Ha in mente Enrico Rossi, il governatore della Toscana», sostengono i renziani. Che prendono in mano la bandiera grillina: «Qui in Parlamento — afferma Nardella — non si sta muovendo una mosca: si sta prendendo tempo sulla legge contro il finanziamento dei partiti tanto da chiedere le audizioni internazionali, e di chi? di Barroso?». I candidati democrat al congresso aumentano. Goffredo Bettini si fa avanti. Epifani non è escluso. Speranza scalda i muscoli. Sabato al Nazareno si danno appuntamento i democrat di “Riprendiamoci il Pd” e ci sarà anche il vendoliano Gennaro Migliore. A Torino i renzianidi #OpenPd.

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UN PO’ TUTTI I GIORNALI APRONO CON IL RICORSO MEDIASET DI BERLUSCONI

 

Il retroscena

 Il piano del Cavaliere per fermare i giudici “Niente crisi ma chiedo un patto al Pd”

Vuole la garanzia che il Senato voti contro l’interdizione

di CLAUDIO TITO

COME nelle giornate di massima allerta, l’intero stato maggiore del Pdl si schiera al fianco del suo leader. I ministri corrono a via del Plebiscito, i colonnelli fanno sentire la loro voce e invocano una reazione. Immediata. La crisi di governo. Per l’ex premier è una sconfitta pesante. Prevista, ma comunque dolorosa. Promette battaglia, ma evita lo show down. Vuole trattare, restando nella posizione di socio di maggioranza della coalizione governativa.

 Il suo sguardo, però, non è più rivolto alla Consulta. Bensì alla Cassazione. A questo punto i tempi del caso Mediaset non si possono più allungare. I giudici costituzionali hanno riaperto la strada ad un percorso fisiologico della giustizia. La Suprema Corte nei prossimi 8-9 mesi sarà chiamata a emettere la sua decisione finale. Confermando o respingendo la condanna dell’Appello. La prescrizione scatta a giugno 2014: i giudici dovranno quindi esprimersi prima di quella data. E se ratificheranno la sentenza dei primi due gradi, allora esploderà una vera e propria bomba nucleare. Perché? Perché i quattro anni di reclusione saranno accompagnati dalla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Ossia l’addio al Parlamento.

«Ecco — si è sfogato il Cavaliere con i suoi fedelissimi — nessuno può pensare che io esca dalla politica in questo modo. No, non sarà così». La posta in palio non è solo il suo destino giudiziario, ma la vita del governo Letta e della “strana maggioranza”. L’appuntamento finale è solo rinviato al prossimo inverno. Nel frattempo l’esecutivo può andare avanti. Anzi, dopo l’esito delle ultime elezioni amministrative che ha visto il centrodestra crollare e soprattutto dopo l’esplosione del Movimento 5Stelle, l’ex premier si è convinto che la carta della crisi di governo e delle elezioni anticipate va giocata solo come una extrema ratio. «Rompere adesso — è il suo ragionamento — non conviene. Quale risultato otterremmo? Per noi niente. Mentre il Pd avrebbe il ribaltone con i dissidenti grillini o, più probabile, il ritorno al voto in una posizione di forza. Con Renzi in pole position e Grillo ormai in discesa libera. Non si ripeteranno più le circostanze di febbraio».

 Il Cavaliere, allora, sta costruendo un’altra via d’uscita. Una sorta di “Piano C” da edificare all’interno del governo. Ossia mettere sul tavolo della trattativa con il presidente del Consiglio e soprattutto con il Pd una sorta di “scambio”: la vita dell’esecutivo per il “no” all’interdizione. Un ragionamento che gli “ambasciatori” di Palazzo Grazioli hanno già iniziato a formulare con i parlamentari più disponibili del Partito Democratico. E questi lo hanno riferito a Palazzo Chigi.

 Il disegno è semplice: se venisse confermata l’interdizione dai pubblici uffici, la “decadenza” dalla carica parlamentare (come prescrive l’articolo 66 della Costituzione) dovrà comunque essere votata dall’Assemblea di appartenenza, ossia dal Senato. La “Procedura di contestazione dell’elezione” viene prima esaminata dalla Giunta per le immunità e quindi dall’Aula. A scrutinio segreto. E proprio in vista di questo passaggio, il baratto proposto dal Cavaliere è chiaro: «Voi votate contro la mia decadenza e io non faccio cadere Letta». È evidente che per condurre una contrattazione del genere, ha bisogno di rimanere nel confine della maggioranza. Di mantenere i piedi nella squadra governativa. Un negoziato, ovviamente, durissimo e soprattutto indigeribile per molti dei Democratici. Eppure, la prima puntata è iniziata proprio ieri. Basti pensare a cosa è accaduto al vertice serale a Via del Plebiscito. Praticamente tutto il Quartier generale del Pdl — un po’ meno i ministri — ha sbattuto sul tavolo della discussione l’ipotesi di uscire dal governo per provocarne la crisi. Il Cavaliere li ha frenati: «Bisogna distinguere le mie questioni dall’esecutivo. Questa è una sentenza schifosa, figlia del conflitto orchestrato da una parte della magistratura contro la mia discesa in campo, ma il Paese ha bisogno di questo governo ». Essersi messo sul fronte delle colombe e aver schierato l’intero partito su quello dei falchi, è esattamente la prima mossa della trattativa. Un modo per dire: «Io posso calmare i miei ma fino ad un certo punto. Per calmarli, voi dovete aiutarmi». In questa ottica un passaggio fondamentale sarà il prossimo voto sulla ineleggibilità del Cavaliere di cui si discuterà a Palazzo Madama a partire dal 9 luglio. L’ex premier sa che il Pd in quel caso voterà contro l’ineleggibilità e userà quella decisione per provocare una sorta di corto circuito ineleggibilità-interdizione. Se i Democratici si sono espressi per la liceità della mia elezione — sarà il suo discorso — possono farlo anche quando si tratterà di pronunciarsi sulla decadenza dal mandato senatoriale.

 Ma può il centrosinistra accettare questo “baratto”? Difficilissimo. Enrico Letta fin dal suo insediamento a Palazzo Chigi ha ripetuto a tutti: «Il mio governo non può fare nulla per quanto riguarda i processi di Berlusconi». Insomma, il principio cui ogni ministro del Pd si sta attenendo è quello della «totale separazione dalla vicende giudiziarie». Non solo. Cosa accadrebbe nell’elettorato e nell’opinione pubblica progressista se Berlusconi venisse “salvato” in quel modo? Una vera e propria baraonda. E, come spiega un esperto senatore democratico, «se io voto per mandare al macero una sentenza definitiva contro Berlusconi, poi mi devo dare alla macchia. Con che faccia mi presento nel mio collegio? Non potrei nemmeno passeggiare per strada. Non esiste, il “baratto” che ci propone il Cavaliere non può essere accettato».

 Il leader del centrodestra ci proverà comunque fino alla fine. Contando anche sul fatto che fino a che sta in maggioranza la sua capacità di trattativa potrà essere espressa in tutte le direzioni, anche nei confronti del Quirinale («Mi aveva promesso una mano»). «Se poi ogni tentativo fallirà — ha avvertito — allora è chiaro che nessuno può pensare che io mi faccia sbattere in galera tanto facilmente. A quel punto tutto sarà lecito. La crisi di governo e la rivolta contro la dittatura dei giudici».

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Pdl: “Sentenza persecutoria” Epifani: “Letta non rischia” (…)

 

Mediaset, la Consulta respinge il ricorso di Berlusconi: «No al legittimo impedimento» (…)

 

Il M5S prepara la forca al Cav: il 9 luglio inizia l’iter per l’ineleggibilità (…)

 

IL PASSO DEL GAMBARO

M5S, i militanti in Rete espellono la senatrice Gambaro: il 65,8% dice sì (…)

 

M5S: Gambaro espulsa, 65% contro la dissidente (…)

 

I grillini espellono la Gambaro. Ma con Beppe solo il 65%

M5S, espulsa la dissidente Gambaro (…)

 

DISMISSIONI

Idem, scoppia il caso Ici: «Per 3 anni non pagò».  La Lega: «Si dimetta o mozione di sfiducia» (…)

 

Il ministro Idem e il sospetto abuso edilizio (…)

 

 

ECONOMIA – SONDAGGI

Negozi aperti alla domenica . Un segnale utile per la ripresa (…)

 

Fed verso una riduzione degli stimoli già a fine 2013. In rosso Wall Street, impennata di dollaro e tassi Tbond (…)

 

UN ARTICOLO DI UN PAIO DI GIORNI FA : L’Italia non è una nazione meticcia. Ecco perché lo ius soli non funziona (…)

 

La rilevazione – Sondaggio Ipr, pareggio tra Pd e Pdl . Il sondaggio Ipr: dopo il “decreto del fare” cresce la fiducia in Letta (…)

 

Partiti, sondaggio Ipr: crollo dei 5 Stelle. Centrosinistra e centrodestra pari (…)

 

RAI

La par condicio secondo Lucia Annunziata: 14 puntate alla sinistra (…)

Fico “la Rai non si svende”. Martedi’ presidente e dg in vigilanza  (…)

Fico: La Rai non si vende. Piuttosto tagliamo gli F35 (…)

 

IL CASO

Fico: ricaveremmo 2 miliardi, la metà di quanto spenderemo per gli F35. Catricalà: recuperare la insostenibile evasione

 Svolta dei 5Stelle: la Rai non si privatizzi più

ROMA — Crolla un punto-chiave della battaglia del Movimento 5Stelle. Nessuna privatizzazione della Rai, a dirlo è il presidente della commissione di Vigilanza, il grillino Roberto Fico. «In questo momento vendere la Rai significherebbe svenderla: e la Rai non si svende. E non si può vendere qualche canale Rai se prima non facciamo una legge seria su conflitto d’interessi e antitrust». Se il problema è recuperare risorse e se è vero che Viale Mazzini vale 2 miliardi secondo un recente studio di Mediobanca, Fico propone un’altra soluzione: «Due miliardi: non è neanche la metà dei soldi che abbiamo programmato di spendere per gli F35. Un’assurdità. Andrei piuttosto a tagliare gli F35 e a rifinanziare la Rai per permetterle degli investimenti ».

 I lavori della commissione comincianola prossima settimana con l’audizione del presidente Anna Maria Tarantola e del direttore generale Luigi Gubitosi. Verrà sentito nei prossimi giorni anche il viceministro dello Sviluppo economico Antonio Catricalà che proprio ieri davanti alla commissione Culturadella Camera ha annunciato l’inizio di un’istruttoria per la scadenza della concessione alla Rai. Nel 2016 bisognerà rinnovare o sospendere il contratto tra lo Stato e il servizio pubblico. «Sono due le scadenze da affrontare — spiega il viceministro— . La prima è quella del contratto di servizio, che è già avvenuta e su cui stiamo lavorando. Poi a maggio 2016 sarà la volta della concessione. Cosa accadrà dopo, lo deciderà chi sarà in Parlamento e al Governo in quel momento. Noi però abbiamo ildovere di preparare il terreno e predisporre fin da ora le carte per quel momento».

 La Rai, ha spiegato Catricalà in sintonia con Fico, «non va smantel-lata, anzi vogliamo costruire. E non c’è un pericolo Grecia, nè ora nèmai. La Rai è un asset strategico per il governo, al quale per ora non è arrivata nessuna ipotesi di vendita o di dismissioni». Sul canone poi Catricalà ha sottolineato l’importanza di recuperare «la ormai insostenibile evasione». Ma il senatore di Scelta Civica Maurizio Rossi ha insistito sul costo dell’abbonamento: «In vista del rinnovo per 15 anni, con un impegno del valore di circa 35 miliardi di euro abbiamo il dovere di definire innanzitutto cosa si debba intendere per servizio pubblico, e quanto debba pesare sulle tasche dei cittadini». Il presidente della commissione Trasporti e Telecomunicazioni Michele Meta (Pd) rilancia la riforma della legge Gasparri: «La priorità per il servizio pubblico è la riforma dei meccanismi digovernance».

(g. d. m.)

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CAMPANIA

Reggia Caserta, la proposta del ministro Bray: aggregarla alla Soprintendenza di Napoli (…)

 

Terra dei fuochi, il ministro a Napoli.  Orlando: «Sì ai termovalorizzatori» (…)

 

Napoli, ritornano gli angeli nella chiesa dei Girolamini (…)

 

FIRENZE ROSSA

Il racconto

Le escort, l’assessore, l’orologiaio i segreti a luci rosse di Firenze “Non stupitevi, qui così fan tutti”. Pettegolezzi e intercettazioni, viaggio nella città investita dallo scandalo

di CONCITA DE GREGORIO

NON c’è chi non conosca uno che conosce uno che gli ha detto che. Fra Borgo Allegri e via delle Belle donne non c’è chi non sappia di sicuro che anche la Maria Grazia, sì quella del negozio di intimo, te l’avevo detto che l’altro giorno è entrata da Gucci e si è comprata tre borse senza nemmeno chiedere quant’è?

ME L’HA raccontato la commessa che è un’amica di mia sorella. Non c’è uno che non sia sicurissimo che da Franchino, l’orologiaio bianco di capelli pettinato da paggio attempato, non sia passata anche la Mara, che è la segretaria del consigliere comunale tale e certo che lui lo sapeva, eccome se lo sapeva, hai voglia. Lo sapeva per esperienza diretta, diciamo, che a certe ore si chiudono le porte delle stanze, in Comune, e a volte non si chiudono nemmeno e non mi far dire altro che qui si va in galera. «Io comunque non lo capisco cosa volete sapere, cosa cercate, se vi scandalizzate per davvero o fate finta», dice Cristiana T. che prepara la tesi in Lettere su Niccolò Soldanieri e vive in via Guelfa, a due passi dalla Facoltà. «Lo sappiamo benissimo tutti, te lo insegnano appena arrivi da matricola, che se c’è una difficoltà a pagare l’affitto o se ti servono i soldi per un viaggio un modo è quello, e si sa da chi andare a bussare. Poi una si regola come crede. Una mia compagna di corso l’hanno interrogata per via di questa storia. Mi ha detto guarda Cristiana io non sono una puttana e lo sai. L’avrò fatto tre volte e quello che mi ha fatto schifo non è stato quella mezz’ora ma sentirli parlare al telefono dopo, con le mogli o con gli amici, ci credi?».

 Le mogli, gli amici. Sentirli parlare. C’è una moglie offesa, al principio di questa storia che arroventa Firenze alle porte di luglio. Ma non è lei la protagonista, e non è nemmeno Adriana “la regina”, Poljna la bambina, non sono la barista l’infermiera l’avvocato e l’assessore, Franchino l’orefice che vende Rolex e mi paghi quando puoi, i fratelli tenutari dell’albergo di lusso dove alla reception ti prendono il documento ma non ti registrano, lo sa tutta la città. Protagonista è Firenze, dirlo sarebbe stucchevole se non fosse letteralmente, materialmente così.La città intera recita la parte principale della “Bella vita”, il titolo in fondo triste che gli inquirenti hanno dato al fascicolo di quattromila pagine dopo mesi di intercettazioni e di indagini, di interrogatori, di appostamenti. La“bella vita” che si dipana dal Lungarno del Tempio all’Impruneta, che passa la mattina da Palazzo Vecchio il pomeriggio sonnecchia al bar dei Viali e si prepara, nelle botteghe del centro, per l’aperitivo a piazzale Michelangelo. Quando le macchine dotate di permesso per la zona blu passano a prendere i clienti e li portano dalle ragazze del catalogo Escortforum, reclutate con un sms e assegnate con un messaggino di ritorno: alla tale ora, nel tal posto, Miriam ti aspetta. Nella stanza con le losanghe verdi e azzurre dell’hotel Mediterraneo, ascensore laterale, quello in fondo a sinistra, quello con la moquette macchiata d’olio che come fa un quattro stelle ad avere un ascensore così, e la donna delle pulizie che la domenica alle otto di mattina passa l’aspirapolvere in corridoio ed entra in stanza senza bussare. «Oh, scusi. Non pensavo». Qui di solito alle otto di mattina i clienti in stanza non ci sono.

 Poi i comprimari, certo. Il professore universitario che ti accoglie in biblioteca e ti racconta che Nicolò Machiavelli aveva la Riccia, favorita fra le cortigiane, e che Filippo Lippi era un frate e aveva avuto Filippino da una monaca per cui “siamo nel solco della tradizione” vacosì da che mondo è mondo, una volta le delazioni si mettevano anonime nei “tamburi”, cassette di pizzini a tema quasi sempre sessuale, nel 500 c’erano le tamburazioni oggi la moglie tradita fa la denuncia in procura. Dov’è la differenza? Ai tempi dell’indagine sul Mostro i faldoni erano pieni di testimonianze sui centinaia di guardoni appostati ogni sera alle Cascine, e le coppie che andavano lì a fare l’amore certo che lo sapevano, andavano lì a farsi guardare — assicura il prof con grande scioltezza sul finale, di certo consuetudine accademica. E poi certo che all’Adriana gli avevano dato una casa, povera ragazza, ci mancherebbe altro che alla cortigiana di palazzo non venisse assegnato un alloggio consono. L’ospitalità è una virtù.

 Ora il problema è l’insaputa, perché anche Massimo Mattei, assessore del Pd alla mobi-lità, giunta Renzi, non sapeva — garantisce — che la sua amica Adriana (“una mia amica da anni”), romena, attualmente disoccupata, inanni remoti dipendente della cooperativa il Borro di cui l’assessore è stato negli stessi anni presidente, non sapeva insomma che Adriana facesse “quel tipo di mestiere”. Lo ignorava, non era un’amicizia abbastanza solida per questo tipo di confidenze perciò le ha assegnato un alloggio a titolo gratuito come si fa con le persone in difficoltà, non tutte certo che altrimenti sai che fila ci sarebbe al Borro ma con alcune sì, e Adriana era fra queste. Poi è stato colto completamente di sorpresa — dice — quando un dipendente comunale suo collaboratore è stato trovato dalla donna delle pulizie in un ufficio pubblico proprio con Adriana, e non facevano fotocopie. Può succedere, ci si distrae. Uno può non accorgersi. Mattei si è dimesso, comunque, per motivi — reali — di salute. Più tranquille adesso sua moglie e sua figlia, leggerissimamente più tranquillo il sindaco nonostante il leggendario sarcasmo fiorentino di quelli che «a Renzi gli mancavano solo Frisullo e una decina di escort per fare Berlusconi». Non dicono escort, in effetti. A Firenze non si dice così.

«Non mi fa schifo cosa fanno ma come parlano, cosa dicono», raccontava la studentessa. Come si nominano le cose. «Quando ci si vede si fa a scambio di figurine», «a quella gli piace così tanto che ci dovrebbe pagare lei a noi», «ho la nausea delle puttane, ho l’albergo pieno». Il fidanzato dell’infermiera («fatti pagare meglio »), l’avvocato che non ha tempo («una cosa in macchina, mezz’ora, con la bimba di ieri »), la “bimba” che mezz’ora ci va perché «mi devo comprare le catene da neve». A Firenze nevica poco, sarà stato per andare a Cortina.

 Come parlano al telefono i fratelli Taddei, titolari dell’hotel Mediterraneo terminale fiorentino del sito slovacco Escortforum. Cosa dice l’orologiaio Franchino, per gli amici al telefono «il capo puttaniere», alle ragazze quando le chiama. Come le tratta, come le recluta. Con quali parole e con che tono spiega alla barista, alla benzinaia, alla ragazza dell’uscio accanto cosa deve fare e come. Con una lingua dove la passera, che del resto in città dà il nome a una piazza antica sede di bordelli, è il termine più alto: pura poesia.

 Dalle migliaia di pagine di intercettazioni esce l’affresco di una città sotterranea e invisibile alle fiumane di turisti che la percorrono con le bandiere del capocarovana levate, unacittà postribolo amorale e bacchettona insieme, scandalizzata con la mano sulla bocca a fare oh, nel fresco delle corti, e impegnata al piano di sopra a cambiare lenzuola per il prossimo avventore. In vendita, alla fine. Cinquecento euro la cena, la stanza con ragazza e lamacchina per andare all’Impruneta, più o meno quanto una gita di due giorni con visita agli Uffizi. «Ma poi che c’entrano la bellezza, la città d’arte, Michelangelo — dice un procuratore di calcio anche lui sentito nell’inchiesta — tutti lì a riempirsi la bocca con Boccaccio, bravi. Fate pure filosofia. Ma io giro il mondo e una cosa la so: non è Firenze, guardatevi intorno a casa vostra. È la regola. Dove vai vai, è così».

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MATURITÀ

Le tracce dei tema: Magris, il rapimento Moro, i Brics e la ricerca. Oggi la seconda prova (…)

 

SANITA’

Farmaco per bambini contraffatto, domiciliari per tre manager della Geymonat (…)

 

INTERNAZIONALE

Il sogno postnucleare di Obama  

Il presidente americano a Berlino chiede alla Russia di ridurre le testate nucleari. Mosca: “No allo squilibrio”

E SPERIAMO BENE …..

smile pensante

RASSEGNA STAMPA WEB del 7 giugno 2013 – scritture che parlano da sè

COMITATO NAPOLETANO PIER LUIGI BERSANI

 

RASSEGNA STAMPA

 

venerdì 7 giugno 2013

 

Bersani lascia

 

IL RACCONTO DELLA NUOVA TANGENTOPOLI MONDIALE

 

 

Usa, “spiate” anche grandi società web.

New York Times: “Obama ha perso credibilità” (…)

 

QUEL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO …. NON CONSENTITO

 

Berlusconi a Letta: “Braccio di ferro con Merkel.

Se economia non riparte, euro senza senso” (…)

COLLOQUIO-MONOLOGO

Berlusconi, intervista al Foglio: Letta ingaggi un braccio di ferro con Merkel (…)

 

FALLIMENTI

 

“Alle elezioni alcuni fallimenti

Beppe non può avere un ruolo così” (…)

 

M5S, Giarrusso si autosospende, poi ci ripensa.

“Crimi non mi ha votato, chiedetegli perché” (…)

 

M5S, Giarrusso infuriato: “Crimi non mi ha votato, chiedetegli perché” (…)

 

Commissioni, Vigilanza Rai a Fico del M5S.

Al Copasir eletto il leghista Stucchi (…)

 

Pianisti, Grasso contro il M5S: “Basta video”.

Grillo attacca: “L’anomalia non siamo noi” (…)

 

Trionfo nel suo feudo per l’ex ministro

“La Dc? Vediamo tra un anno” (…)

 

PD

La precisazione di Giorgio Napolitano per blindare Letta: “Non è un governo a termine”(…)

 

Enrico Letta offre il patto della staffetta a Matteo Renzi: l’appoggio alla guida del Pd, in cambio del sostegno al governo (…)

 

Repubblica delle Idee 2013: Carlo De Benedetti: “Grillo e Berlusconi? Malformazioni della società” (…)

 

Nicola Zingaretti scossa al Pd: “Non produce politica, va cambiato” (…)

 

Il Pd alle maestre: “Basta buu, andiamo a un confronto serio” (…)

 

 

ECONOMIA

 

Profumo in Municipio (…)

 

Mario Draghi (Bce) delude i mercati e lo spread risale a 280 (…)

 

Bce: tassi di interesse rimangono al minimo storico dello 0,5% (…)

 

Pensioni d’oro: Corte costituzionale no a tasse su quelle dei ricchi (…)

 

Pensioni: Inps “Da riforma Fornero meno 80 miliardi di spesa tra 2012 e 2021” (…)

 

 

Tav, ratificato l’accordo Italia-Francia. Il ministro Maurizio Lupi:”È un’opera strategica” (…)

 

Schifani alle Maldive a sbafo (…)

 

 

smile pensante

 

 

RASSEGNA STAMPA WEB del 2 giugno 2013 – FESTA DELLA REPUBBLICA

COMITATO NAPOLETANO BERSANI PRIMO MINISTRO

 

RASSEGNA STAMPA

 

domenica 2 giugno 2013

giornali_referendum 1946

2 giugno 1946

 UN PREAMBOLO DECISIVO

di Pier Luigi Bersani – pagg.1 e 8 Unità del 2 giugno 2013

È giusto leggere la partecipazione alle elezioni amministrative come la conferma di una grave  disaffezione dei cittadini. È  altrettanto giusto rimarcare che, in quel quadro, viene riconosciuto un primato al Partito democratico e ai suoi candidati (dire che si è perso anche quando si è vinto serve spesso per stare con un piede fuori dalle proprie responsabilità!). Il giorno seguente, il nostro risultato è scomparso. In un passaggio parlamentare relativo alla legge elettorale si è dato l’argomento ai giornali per titolare: il Pd si divide, il Pd sull’orlo della crisi, e così via. Già peraltro comincia a vedersi lo sport antico di tirare il sasso e nascondere la mano verso il governo che sosteniamo. Niente di nuovo sotto il sole: in una recente e dolorosa esperienza abbiamo visto come il venir meno a nostre decisioni collettive abbia cambiato il corso degli eventi nella politica del Paese. È tempo di riconoscere che tutto questo è il segno di un problema profondo e strutturale, che non può essere affrontato con richiami al buon cuore ma piuttosto con un sincero confronto fra noi. Ho già provato a descrivere il tema con un interrogativo: vogliamo essere un soggetto politico o semplicemente uno spazio politico? Il Pd è nato mentre già la crisi democratica italiana e l’umore antipolitico avevano generato formazioni a impronta padronale o comunque personalistica; formazioni, cioè, connesse in modo strutturale ed esistenziale al leader. La crisi ha accelerato e approfondito il processo, facendolo emergere un po’ ovunque in Europa. In proposito, le analisi ormai riempiono le biblioteche e convergono. Si sono affermate ovunque esigenze di semplificazione e accorciamento anche emotivo nei meccanismi di rappresentanza; la partecipazione si è andata riducendo ad un ruolo esornativo; la comunicazione si è messa al comando; la «sostanzialità» del consenso ha cominciato a rompere argini formali, istituzionali o addirittura costituzionali. In Italia abbiamo visto per primi come quel tipo di offerta politica sia efficacissimo nel promettere risultati, ma impotente o disastroso nel produrli. Sappiamo ormai che interpretare abilmente ciò che pensa «la gente» non significa governare! Noi democratici abbiamo vissuto questa fase, che è stata per il Pd di affermazione e di radicamento, mettendo a critica quel modello e tuttavia tenendoci, rispetto a quel modello, flessibili fino al punto di essere, qua e là, cedevoli. Nella sostanza ci è sfuggita la radicalità della nostra alternativa e quanto fosse e sia controcorrente la nostra sfida. È tempo di chiarirci le idee fino in fondo. Dentro la transizione e la crisi il nostro modello alternativo pretende di incrociare e interpretare la complessità, l’esplosione delle soggettività, gli spazi inediti di comunicazione e relazione attraverso la partecipazione consapevole, il pluralismo; attraverso la costruzione di una sintesi che muova da meccanismi che non semplificano ma anzi sollecitano e moltiplicano i protagonismi. Come non vedere che questo nostro incompiuto tratto distintivo (arricchito naturalmente da significati valoriali e contenuti programmatici) ha consentito comunque di essere una formazione che ormai «esiste in natura» in ogni luogo del Paese, di superare difficoltà e smentite quotidiane, di candidarci ad essere l’unico potenziale riferimento politico per uscire dalla transizione? D’altra parte, come non vedere il limite strutturale della nostra esperienza che ci trattiene dall’essere pienamente all’altezza delle responsabilità che il Paese ormai ci riconosce? Questo limite sta nella forza e nell’univocità della sintesi. Il nostro modello per definizione drammatizza l’esigenza di sintesi, il nostro modello per definizione esclude di affidarla all’uomo solo al comando. La sintesi può venire solo dalla scelta politica consapevole e  dichiarata da parte dei protagonisti diffusi di devolvere alla decisione del proprio collettivo una parte delle proprie convinzioni e delle proprie ambizioni (è in questa devoluzione peraltro che si materializzano il disinteresse personale e la moralità politica!). Più soggettività e più sintesi: non c’è altra strada, io credo, per stare nella modernità e per essere utili al Paese. Il Paese deve via via percepire che il Partito  democratico ha una fisiologia che dà voce con grande apertura alle complessità e che assieme garantisce decisioni certe ed efficaci e capaci di resistere, quando è necessario, al senso comune del momento. Senza questo saremo trascinati dove, spero, non vogliamo andare: ad essere cioè uno spazio politico anche affascinante ed accogliente ma troppo esposto alle esibizioni individualistiche, alle baronie politiche o ai rabdomanti del senso comune. Un simile spazio può essere utile ad alcuni, a tanti, a tantissimi, ma non al Paese!

Questa necessaria discussione infatti non parla di noi, ma dell’Italia. Viviamo una crisi senza precedenti che ancora non ha esiti prevedibili. Ciò che stiamo vivendo non è politicamente il nostro orizzonte. Le sfide non sono finite, le abbiamo davanti. Programmi, contenuti, soluzioni possono essere discusse liberamente. Ma prima di tutto chiediamoci: vogliamo metterci all’altezza delle nostre responsabilità e del nostro compito? Vogliamo essere finalmente e pienamente un soggetto politico, traendone le conseguenze? Tutto questo è, ovviamente, un semplice preambolo. Ma un preambolo decisivo.

 PD

Renzi: “Io candidato a segretario? Se il Pd decide di vincere…” (…)

Se Matteo vuole fare il premier deve prima scalare il partito (…)

 

LA POLEMICA – l’Unità pag. 2 e 3

Botta e risposta tra Repubblica e la portavoce di Massimo D’Alema, Daniela Reggiani. Il tema è la ricostruzione della caduta del primo governo Prodi, contenuta in un articolo di Filippo Ceccarelli uscito venerdì e dal titolo «Gli eterni duellanti del Pd», in cui si ripercorre la guerra del fuoco amico della sinistra. «Tutto cominciò – sostiene Ceccarelli – con la defrenestrazione di Prodi da parte del leader Maximo nel 1998». Reggiani ha risposto con una lettera inviata al giornale, mail testo originale è stato «asciugato» in alcune sue parti, tanto da spingere la portavoce a divulgarne la versione integrale. Ecco i passaggi oggetto della polemica: «D’Alema ha spiegato per l’ennesima volta nel suo libro-intervista a cura di Peppino Caldarola tutti i passaggi che lo videro protagonista prima del tentativo di salvare il governo Prodi e poi di favorire, ma senza successo, la nascita del governo Ciampi – scrive la portavoce -. Passaggi che si ritrovano puntualmente nel recentissimo libro di Umberto Gentiloni sui diari dell’ex presidente della Repubblica.  (Questa ultima frase non compare su Repubblica, ndr). Bisognerebbe smettere di raccontare bugie certificate come tali, anche da approfondite indagini storiche, e raffigurare in modo distorto il gruppo dirigente per colpirne l’immagine e seminare veleni». Anche quest’ultima parte è stata largamente «tagliata». Da Largo Fochetti si affidano alla replica di Ceccarelli secondo cui è lo stesso D’Alema a fare autocritica nel libro intervista. Controreplica: «Spiace constatare che la direzione di Repubblica non colga il punto: la lettera è stata tagliata per alterarne il senso. Nessuno, infatti, mi ha avvisato di modifiche sul testo». Viene il dubbio, conclude, «che sia stata alterata per rendere più agevole la risposta».

ECONOMIA  E RIFORME

Così lo Stato nasconde i veri evasori fiscali (…)

GOVERNO  

Letta: «Larghe intese irripetibili Priorità, meno tasse sul lavoro» (…)

 

Letta: sì al presidenzialismo Elezione diretta anche in Ue (…)

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PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Il messaggio di Napolitano per la festa della Repubblica (…)

 

Il Colle

 Napolitano avverte la maggioranza “Basta rigidità e inconcludenze su legge elettorale e riforme”

Letta: mai più il Quirinale eletto in quel modo. Poi corregge

di UMBERTO ROSSO

 

ROMA — Avviso ai litiganti: «Io vigilerò sull’inconcludenza». Giorgio Napolitano torna a mettere in guardia sui rischi «per la stabilità politica e istituzionale», e nel video messaggio per la Festa della Repubblica intima lo stop alla guerra dei veti incrociati che ha rivisto all’opera sulla riforma elettorale pure nel governo delle larghe intese. Invece, non c’è tempo da perdere in manovre e sgambetti di fronte all’emergenza disoccupazione. In sintonia con il capo del governo Enrico Letta che, dal Festival dell’economia di Trento, annuncia che la priorità è «il taglio delle tasse sul lavoro» e sembra aprire sul presidenzialismo: «Non si può più eleggere il capo dello Stato con il sistema dell’aprile scorso, giornate drammatiche».

 

 Napolitano dunque torna a farsi sentire contro lo slittamento delle modifiche al Porcellum, che il Colle invece fortemente vuole. Di fronte ad un’urgenza drammatica, con la disoccupazione giovanile «problema numero uno», per Napolitano i partiti della maggioranza devono cambiare passo. Così, di fatto, indica una scadenza, dà un tempo-limite: dodici mesi. Secondo il capo dello Stato infatti da qui al 2 giugno del prossimo anno l’Italia «dovrà essersi data una prospettiva nuova, più serena e sicura». Enrico Letta raccoglie e rilancia sul tema occupazione, «è la nostra priorità», sorride spiegando che «anche il mio governo è una start-up, pure se un po’ sballottata», poi parla anche di riforme istituzionali. «Non è più possibile — dice il presidente del Consiglio — eleggere ancora il capo dello Stato con il sistema dei grandi elettori. Quella di metà aprile è stata una settimana drammatica per la nostra democrazia». Apertura al presidenzialismo, all’elezione diretta del capo dello Stato? Il premier corregge interpretazioni così nette, «dico solo che non è più accettabile un clima come quello che abbiamo vissuto in quei giorni, con ciò che è successo a Marini e Prodi». Però dal centrodestra arrivano apprezzamenti, «le parole di Letta portano all’elezione diretta del presidente della Repubblica» plaude Cicchitto. Con speculare bocciatura da sinistra.

 

 Napolitano, che stamattina presenzia alla parata ai Fori e nel pomeriggio incontra i cittadini nei giardini del Quirinale (e poi i giornalisti), avverte dunque che vigilerà «perché non si scivoli di nuovo verso opposte forzature e rigidità e verso l’inconcludenza». Il che riguarda sia le «scelte urgenti e vitali» contro la crisi economica sia la legge elettorale e le riforme istituzionali «più che mai necessarie ». A chi si rivolge il capo dello Stato, chi tira il freno a mano nella maggioranza, col rischio di bloccare l’esecutivo? Al Colle non avrebbero gradito le manovre del centinaio di parlamentari pd (soprattutto renziani e prodiani) che hanno rilanciato il Mattarellum (non per il sistema elettorale in sé ma per le modalità e la tempistica). E ancora meno apprezzati i veti dei falchi che nel Pdl hanno sabotato qualunque ritocco al Porcellum, con lo stesso Berlusconi che ha messo in coda a tutto la riforma elettorale. L’accordo sulla “safety net” è saltato, ma Napolitano avverte che non intende assistere anche in questa legislatura ad una melina che sfocia nel nulla. Ha accettato la rielezione confidando che «le forze politiche, a cominciare da quelle maggiori, sappiano mostrarsi a loro volta responsabili». Il primo banco di prova sta «nel discutere e confrontarsi ma con realismo e senso del limite», senza mettere a rischio la stabilità.

 

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 SANITA’

Nuova Sars, 2 nuovi casi in Toscana. Contagiata bimba di due anni (…)

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RASSEGNA STAMPA WEB del 1 giugno 2013 – Partiti ….

COMITATO NAPOLETANO BERSANI 

RASSEGNA STAMPA

sabato 1 giugno 2013

Bersani con sigaro più grande

IL LIBRO DI BERSANI

Il blogger di Repubblica Antonio Dipollina riporta scherzosamente, sul suo blog, l’ultimo scambio di battute tra Giovanni Floris e l’on. Pier Luigi Bersani a fine dell’intervista per Ballarò. Ricordo quì e magari al blogger, se mai potessi avere la fortuna che mi legga, che l’on. Bersani, per amore di precisione, ha dichiarato la sua filosofia sui libri proprio nell’ultimo libro-intervista scritto con e per lui a cura di Miguel Gotor e Claudio Sardo ” Per una buona ragione “. Dunque egli risponde così alla domanda su cosa l’avesse convinto ad accettare l’impegno del libro-intervista : “Avevo una remora verso l’idea di scrivere un libro perchè ho sempre pensato che per un politico l’umiltà di leggere dovesse prevalere sulla presunzione di scrivere. La formula dell’intervista lunga mi è sembrata una buona mediazione, e per me anche un’occasione di confronto dal momento che la conversazione è affidata al filtro delle vostre sensibilità (…)”

 Dunque questo il faro illuminante sulla filosofia ed il pensiero di Pier Luigi Bersani.

La battuta di Dipollina è carina ma sinceramente è un umorismo inglese che poggia su poco.

 

questa la frase :

Giovanni Floris: “Un libro non lo scrive?”

 Pierluigi Bersani: “Ma no, dai, i libri sono cose serie…”

 (Bersani a Ballarò arriva all’ultima domanda e proprio non riesce a non dire male una cosa invece probabilmente sensata)

qui il link (…)

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Finanziamenti ai partiti, ecco la proposta Pd

ERA IL 18 MARZO 2013 ….

 Bersani prepara un’altra mossa a sorpresa, dopo quella sulle presidenze delle Camere. L’obiettivo è lanciare un altro segnale di cambiamento… (…)

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ORA SIAMO QUI’:

get_clip_fly esteroIl finanziamento pubblico ai partiti è una delle modalità, assieme alle quote d’iscrizione e alla raccolta fondi, attraverso cui i partiti politici recepiscono e reperiscono i fondi necessari a finanziare le proprie attività. Il finanziamento pubblico esiste in diversi paesi. Nel Regno Unito c’è una legge del 1974, chiamata comunemente Short Money che assicura il finanziamento dei partiti di opposizione. In Australia il finanziamento pubblico è stato introdotto nel 1984 dal governo Hawke, con l’obbiettivo di ridurre l’influenza delle lobby sui partiti politici.  

E ciò a ben ragione. In definitiva la lotta alla corruzione e per contro alla maggiore trasparenza dei partiti trova il suo primo punto di aggancio nella pretestuosa polemica che considera spese “inutili” o meglio insopportabili quelle destinate a finanziare le attività politiche e le manifestazioni pubbliche. Molte motivazioni delle origini di “tangentopoli”, si alimentano proprio sulla polemica, al quanto pretestuosa a dire il vero, del finanziamento pubblico ai partiti.  Al contrario le attività di corruttela sono attività oltre ed altre al finanziamento pubblico ai partiti, che consentono ai cittadini di essere i veri intestatari dei diritti politici di cui si fa portatore quel determinato partito ma  la cui gestione, semmai, dovrebbe essere oggetto di attenzione.

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Comunque, il referendum abrogativo promosso dai Radicali Italiani dell’aprile 1993 vede il 90,3% dei voti espressi a favore dell’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti, nel clima di sfiducia che succede allo scandalo di Tangentopoli.

Nello stesso dicembre 1993 il Parlamento aggiorna, con la legge n. 515 del 10 dicembre 1993, la già esistente legge sui rimborsi elettorali, definiti “contributo per le spese elettorali”, subito applicata in occasione delle elezioni del 27 marzo 1994. Per l’intera legislatura vengono erogati in unica soluzione 47 milioni di euro.

La stessa norma viene applicata in occasione delle successive elezioni politiche del 21 aprile 1996.

Il parlamento modifica la norma, con l’art 5 della legge n° 96 del 6 Luglio 2012, e obbliga un partito o un movimento ad avere uno statuto per aver diritto di ricevere i rimborsi elettorali.

C’è ancora da sottolineare in questo brevissimo sguardo normativo sul finanziamento pubblico ai partito, che, proprio per cronaca,  il partito che gode della quota maggiore di finanziamento  pubblico ai partiti è proprio il Popolo della libertà (Pdl), che vanta il maggior numero di aderenti e votanti, sebbene i risultati alle elezioni non sono sempre certi. Nel 1997 il Pdl prese la maggior quota in tutto parlamento di 206.518.945 €

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I COSTI DELLA POLITICA

 Niente soldi ai partiti dal 2017 donazioni volontarie e 2×1000 Letta: “Legge da approvare subito”

I dubbi di Pd e Pdl. Grillo: “È solo una truffa”

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La prima volta

Il 29 aprile, nel discorso programmatico, Enrico Letta promise che il suo governo avrebbe «rivoluzionato» il finanziamento pubblico ai partiti, partendo dalla «abolizione della legge in vigore». Allo stesso tempo è però importante, aggiunse, «attuare quella democrazia interna ai partiti» prevista dalla Costituzione

ROMA — Il Consiglio dei ministri ha deciso di cancellare il finanziamento pubblico ai partiti e ha approvato un disegno di legge che propone nuovi metodi per fare arrivare soldi alla politica: contributi volontari dei privati, 2 per mille, servizi e agevolazioni tipo spot gratis sulla Rai. Una riforma che comunque avrà una fase transitoria e sarà pienamente operante solo nel 2017. Sparirà così il meccanismo dei rimborsi elettorali che “occulta” un finanziamento che gli italiani avevano cancellato nel 1993 dicendo sì in massa ad un referendum radicale. Un colpo di spugna, quindi, su quello che il ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello ha definito «un’insopportabile ipocrisia». Il via libera del Cdm però non piace per niente a Beppe Grillo che sul blog dà il via alla rivolta della base attaccando: «È una legge truffa, una presa in giro per i cittadini che continueranno a pagare per far campare i partiti». Con i deputati grillini che annunciano «proteste clamorose».

 

 Il governo, comunque, canta vittoria. Nonostante sul testo gravi un “salvo intese” avallato da alcuni ministri. Uno stato di “sospensione” che il premier Enrico Letta si è affrettato a spiegare con «un controllo che deve fare la Ragioneria generale dello Stato». Perché non ci sono nodi politici. Perché «la coesione politica della maggioranza su questo punto è stata molto importante ». E adesso ha aggiunto Letta, «confido nel fatto che il Parlamento approvi rapidamente il ddl perché ne va della credibilità del sistema politico italiano».

 

 L’ottimismo corre comunque. Soprattutto su Twitter. A cominciare dallo stesso Letta che annuncia il «passaggio a incentivazione fiscale contributi cittadini ». Cinguetta soddisfatto anche Silvio Berlusconi: «Promessa mantenuta!». Tocca a Quagliariello spiegare i contenuti della riforma. A partire da quel legame fra democrazia interna e trasparenza dei bilanci e diritto dei partiti ad avere il finanziamento.

 

 Il ministro delle Riforme insiste sul fatto che il meccanismo del 2 per mille non è simile a quello del contestato 8 per mille alle chiese. Anche in questo caso i soldi potranno essere dati ai partiti o allo Stato. Ma il denaro di chi non farà scelte sarà diviso fra Stato e partiti rispecchiando questa prima scelta. Quelli destinati alla politica saranno poi distribuiti ai partiti in maniera proporzionale alle scelte fatte in loro favore dei contribuenti. Comunque i partiti, dal gettito del due per mille non potranno avere più di 61 milioni. E i soldi risparmiati rispetto ad oggi andranno in un fondo per risanare il debito pubblico.

 

 Critiche al testo arrivano da avversari storici del finanziamento pubblico come il segretario di Radicali italiani Mario Staderini, convinto che «non è una abolizione bensì una modalità diversa». E per questo ricorda che oggi i radicali iniziano una campagna referendaria su 10 quesiti che prevede anche l’abolizione del finanziamento. Ma il ddl è bocciato anche da paladini storici del finanziamento. Come, per esempio, il tesoriere storico dei Ds Ugo Sposetti che boccia il 2 per mille perché «non funziona così la democrazia». Pollice verso anche da tesoriere del Pdl Maurizio Bianconi. La riforma di Letta, spiega, «è un po’ di carosello per avere una fiducia popolare che teme di non avere». Scettico anche Fabrizio Cicchitto che di fronte al testo solleva il dubbio: «Quale sarà l’autorità che valuterà se lo statuto di un partito risponde a criteri di trasparenza e di democraticità?». 

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Rappresentanza, svolta storica: siglata intesa tra sindacati e Confindustria  (…)

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Una bella relazione, quella del governatore. Stringata e asciutta, com’è nel nuovo stile della casa. Ma oggi come allora (e come è accaduto anche all’assemblea di Confindustria una settimana fa), l’establishment celebra i suoi riti autoreferenziali lanciando speranzosi messaggi in bottiglia a una politica che non li raccoglierà. Parlando a se stesso di un altro «anno difficile», di «gravi prove» che la collettività ha dovuto affrontare, di «progressi insufficienti». Ma intanto, «fuori», svaniscono un milione e 400 mila posti di lavoro, la disoccupazione giovanile supera il tetto del 40%, i prestiti delle banche si contraggono di 60 miliardi, falliscono 14 mila imprese all’anno, bruciano 230 miliardi di Pil in cinque anni.

 

 In queste condizioni non deve essere più tanto facile fare il banchiere centrale, senza sentire il peso di una situazione drammatica che, come dice giustamente Visco, in teoria chiama in causa tutti (dai «rappresentanti politici » che «stentano a mediare tra interesse generale e interessi particolari», alle «imprese, le banche, le istituzioni »). Ma in pratica presenta il conto solo ai tanti che, in quel salone di Via Nazionale, non ci sono, non si vedono e non si sentono. Le famiglie mono- reddito, i pensionati al minimo, i precari, le finte partite Iva, i disoccupati, i cassintegrati. Qui non si tratta di fare populismo un tanto al chilo. L’auto-rappresentazione delle classi dirigenti è fisiologica nelle democrazie moderne dell’Occidente. Ma non può e non deve diventare auto-assoluzione delle élite, che tutt’al più si rimpallano le colpe tra di loro.

 

 Nella relazione del governatore non c’è una sola riga che non sia condivisibile, e improntata al rigore scientifico, analitico ed etico che da sempre contraddistingue la Banca d’Italia e ne fa (insieme al Quirinale) l’istituzione più autorevole del Paese, al quale presta, non a caso, da decenni le sue migliori risorse umane e professionali. La criticità dell’euro e la centralità dell’Europa. Il ruolo insostituibile della Bce, che finora ha salvato da sola la moneta unica e persino l’Italia, dove gli interventi «non convenzionali » decisi da Draghi hanno contribuito a sostenere il Pil per almeno 2 punti percentuali e mezzo negli ultimi due anni. La necessità di completare il processo di integrazione «monetaria, bancaria, di bilancio e infine politica ». Ma quando l’orizzonte si restringe sull’Italia, subentra uno sconforto che l’intero «Sistema» (non solo quello politico, ma anche quello industrial-finanziario) non può non avvertire come risultato di una sua inadeguatezza.

 

 E se oggi è davvero a rischio «la coesione sociale», questo non può dipendere sempre e soltanto da una politica sorda e codarda. Dall’osservatorio di Palazzo Koch la Prima Repubblica non è mai finita. L’Italia si è fermata «a venticinque anni fa». Siamo cioè nello stesso Jurassic Park del 1988-89, quando governava l’Andreotti VI, Tangentopoli covava sotto la cenere, esplodeva lo scandalo Bnl-Atlanta, infuriavano le proteste sulla chiusura dello stabilimento Italsider di Bagnoli, le lettere del corvo ammorbavano il pool antimafia, e proprio Carli da neo-ministro del Tesoro sbatteva i pugni e la testa contro il «partito trasversale della spesa». Basta sostituire il penta-partito di Andreotti con il «governo di servizio» di Letta e Alfano, Bnl-Atlanta con il Montepaschi, l’Italsider di Bagnoli con l’Ilva di Taranto, i veleni del corvo di Palermo con i miasmi della trattativa Statomafia, Carli con Fabrizio Saccomanni. E il gioco è fatto.

 

 Da lì, da quelle «debolezze strutturali», non ci siamo quasi più mossi. Abbiamo rinviato il risanamento del bilancio. Non abbiamo qualificato la scuola e l’università. Non abbiamo lottato abbastanza contro la corruzione e l’evasione. Non abbiamo riformato il mercato del lavoro. Non abbiamo semplificato la nostra burocrazia, per rendere la vita più facile ai cittadini e l’ambiente più propizio alle imprese. Quello che Visco dice, ed ha perfettamente ragione, è che tanta parte della nostra arretratezza è imputabile a un capitalismo senza capitali, a un tessuto industriale che ha rifiutato la sfida del libero mercato e dell’innovazione di prodotto e di processo, privilegiando la rendita agli investimenti. Quello che Visco non dice, e ha torto a non farlo, è che nella crisi le banche hanno avuto ed hanno un ruolo cruciale, non meno «critico» di quello delle imprese. Ilcredit crunch è un nodo scorsoio che si stringe al collo delle famiglie e delle aziende. È vero che le sofferenze esplodono, ma una parola di più ai Signori del Credito il governatore avrebbe potuto e dovuto spenderla, per spiegare come si può allentare quella morsa.

 

 Dietro l’angolo non c’è molto di buono. In un anno non se ne possono recuperare venticinque. Non aspettiamoci che la Ue, chiusa la procedura d’infrazione, ci proietti nelle verdi vallate del deficit spending. Non andrà così. L’austerità non può finire, non si esce dalla crisi «con la leva del disavanzo». La ricetta del governatore è di assoluto buon senso. Possiamo ridurre le imposte solo in modo selettivo, tagliando la spesa corrente e privilegiando il lavoro e la produzione (magari non trasformando l’Imu in un feticcio ideologico). Dobbiamo spostare l’attività industriale dai settori in declino a quelli in espansione, rassegnandoci all’idea che molte occupazioni scompariranno per sempre. E senza un piano di lungo periodo sul lavoro e la formazione, a salvare i giovani non basterà il miraggio della «staffetta generazionale ». In definitiva, serve «un programma credibile », che incida sulle aspettative e ridia la fiducia necessaria. Così, alla fine, si torna all’inizio: in tutti i settori della vita pubblica, servono leadership all’altezza del compito, che diano l’esempio e inoculino civismo in un tessuto sociale, imprenditoriale e sindacale, irrigato dal cinismo. Ma nell’Italia di oggi c’è traccia, di un establishment siffatto? La stagione delle Larghe Intese sarà anche quella delle Lunghe Attese. 

 m. giannini@repubblica. it 

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get_clip_fly cittadini

SEL SOTTOLINEA CHE NEL DDL LETTA SUL FINANZIAMENTO PARTITI NON C’E’ TETTO MASSIMO DEL CONTRIBUTO DEI PRIVATI E NON C’E’ REGOLA PER FINANZIAMENTO FONDAZIONI

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PD

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LE SCELTE DEI PARTITI

La protesta

 Lavoratori del Pd in rivolta “Tutta colpa del grillismo” Il Pdl chiude la sede storica

 

Epifani: non lasceremo nessuno per strada

 

di GIOVANNA CASADIO CARMELO LOPAPA

 

ROMA — «È un problema che va affrontato, bisogna vedere bene questa legge che abolisce il finanziamento, ma non lasceremo nessuno per strada». Guglielmo Epifani, l’ex sindacalista della Cgil diventato segretario del Pd, si è chiuso l’altra sera nel suo ufficio con il tesoriere Antonio Misiani per studiare come evitare licenziamenti e cassa integrazione. Ma i 200 dipendenti democratici sono sul piede di guerra. Preoccupati? «È dire poco…». Arrabbiati, delusi, riuniti in capannelli al Nazareno. Mormorii: «Ecco a cosa porta il grillismo»; lettere sul blog di Repubblica: «Sono un dipendente del Pd, mia moglie è in cassa integrazione, lavoro da vent’anni e guadagno 1.800 euro, lavoro per la politica ma non sono un politico». Esempio vivente di come paghino alla fine i deboli, in questo caso i lavoratori dei partiti. Su Youdem,la tv democrat (che ha già tagliato da ottobre un milione di euro di produzione), parla uno dei delegati dei dipendenti, Silvana Giuffré: «Abbiamo un “piano b”, speriamo possa essere accolto».

 

 Ma è su Twitter che i lavoratori del Pd si scatenano. Andrea Marcucci, senatore renziano s’azzarda a twittare: «Ok Letta su finanziamento, ma tempi più brevi». Una dipendente replica, al curaro: «Senza una applicazione graduale il Pd chiude, è questo che vuoi?». Toni sempre più alti, fino a indicare i soldi che le aziende del senatore Marcucci hanno avuto dallo Stato. La replica: lì ci lavora un sacco di gente. La controreplica: anche al Pd ci lavora «tanta gente perbene». Forse nel Pdl va meglio?

 

 No. Ammainate il Tricolore al balcone. Ancora un mese e il 30giugno il partito di Berlusconi fa armi e bagagli e abbandona la storica sede di via dell’Umiltà 36. Effetto immediato della crisi finanziaria e dell’ulteriore colpo di scure ai finanziamenti anche alla corte del Cavaliere. Come per il Pd, sono le ricadute sul personale le più pesanti. Su 210 dipendenti in tutta Italia, 90 a Roma (38 dei quali assunti solo nel 2012), almeno una quarantina – raccontano alcuni dirigenti – adesso rischiano il posto: proprio a partire dagli ultimi entrati. E qui non si parla di cassa integrazione, già esclusa ieri dal tesoriere del partito Maurizio Bianconi che pure non conferma gli esuberi. Taglia corto: «Studieremo formule che portino a un’autoriduzione dello stipendio e taglieremo tutto il possibile prima di incidere sul personale». Insomma, Pd e Pdl hanno gli stessi problemi?

 Non proprio, spiega Antonio Misiani. Il tesoriere democratico indica tra i punti della legge appena varata dal consiglio dei ministriche vanno subito modificati in Parlamento, il tetto alle donazioni. Perché non ci siano «dei miliardari », leggi Berlusconi, che «staccano assegni di milioni di euro, e i partiti senza miliardari s’attaccano ». Il Pd intanto lascia le sedi di via del Tritone e di via Tomacelli, resta tutto e solo al Nazareno. I circoli locali godono di autonomia e (pochi) dipendenti. Il bilancio complessivo 2012 è stato di 40 milioni di euro; rimborsi già dimezzati a luglio scorso. Ma nonostante il miliardario Berlusconi anche nel Pdl si respira un clima pesante.

 

 Dopo il varo del ddl Letta gli impiegati escono a capo chino da via dell’Umiltà, nessuno si ferma davanti alle troupe che incalzano.Meglio non esporsi. Vite sospese. E’ andata ancora peggio ai trenta dipendenti del gruppo alla Camera non rinnovati e sostituiti da Brunetta. Il fatto è che, raccontano, non è stata loro pagata neanche la liquidazione. Il capogruppo ha lasciato trascorrere due mesi e poi ha avviato procedura di incapienza all’Inps. Che ora dovrà procedere direttamente, ma coi tempi biblici dell’Istituto. Nessuno ha protestato pubblicamente, nella speranza di essere assorbiti nei ministeri. Invano. Mentre tutti gli altri gruppi parlamentari nelle medesime condizioni la liquidazione risulta l’abbiano pagata. Il fatto è che il Pdl – che lo scorso anno ha visto decurtare il finanziamento da 68 a 34 milioni – ha ancora un bilancio da 17 milioni di euro. E le famose fideiussioni del leader sono ormai ridotte al lumicino. Ci sono 90 sedi locali da mantenere e soprattutto via dell’Umiltà, un affitto da 2 milioni di euro l’anno. Bianconi è contrario alla scure Letta-Alfano. «In previsione, abbiamo disdetto tutte le sedi territoriali e regionali e non abbiamo rinnovato i contratti a termine o a progetto, in questo ci ha aiutati la Fornero». Però Mariastella Gelmini, molto vicina al capo, esulta: «Era uno degli obiettivi contenuti negli otto punti di programma del partito. Si risparmiano 91 milioni di euro, un segnale importante inviato ai cittadini». Al Pd, Misiani assicura che si batterà perché anche per i partiti possano valere i contratti di solidarietà: si paga un po’ tutti, senza traumi.

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IL LIBRO DI FINI SUL CAVALIERE

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Il caso 

L’ex presidente della Camera vuole dare alle stampe il suo racconto sulla destra e sui venti anni passati vicino a Berlusconi 

 “Tutta la verità sul Cavaliere”, il libro di Fini  

 

di TOMMASO CIRIACO 

ROMA — L’aveva promesso, incontrando i reduci di una destra ormai dispersa: «Lascio Fli, sarei d’ostacolo. Voglio essere finalmente libero di parlare, senza danneggiarvi». Più che parlare, Gianfranco Fini scriverà. Anzi, in segreto, ha già iniziato a scrivere. Un titolo definitivo del libro ancora non c’è, ma l’idea è di raccontare “La destra nel ventennio di Berlusconi”. È un progetto concepito nelle ultime settimane e servirà ancora del tempo per mandare il testo in stampa. Ma la “scaletta” già esiste, come ha spiegato ad alcuni amici con i quali continua a confrontarsi: «Racconterò la nostra storia. Dal 1993 a oggi. Parlerò di tutti noi. E del rapporto con Berlusconi». E visto che la narrazione arriva dall’eterno delfino del Cavaliere, infine spiaggiato con gran soddisfazione dell’uomo di Arcore, vale la pena di tenersi liberi. 

 La botta elettorale è stata violenta. Cellulare staccato e riposo. Poi la decisione, irrevocabile, di dire addio a Fli. E di dedicarsi alla scrittura. In prima persona, senza farsi sostenere nello sforzo da altri (come in occasione dell’opera precedente, “Il futuro delle libertà”). Per elaborare il lutto, spiega chi lo conosce bene. Di certo, anche pertogliersi qualche sassolino dalle scarpe. O forse qualche macigno. 

 Ha dominato i post missini per quattro lustri. Montagne russe, fino allo schianto elettorale del febbraio 2013. La storia partirà dalle Comunali di Roma. Già allora – era il 1993 – entra in scena Berlusconi, assoluto co-protagonista del libro. Ma la penna non sarà guidata dal risentimento verso l’ex premier, ha giurato Fini a uno dei suoi. Basterà far parlare i fatti. «Voglio fare un bilancio. Senza sconti, con rigore. È anche un modo per riordinare le idee». 

 Sarà il racconto di una cavalcata che ha condotto la destra al governo e Fini alla Farnesina. Luci e ombre. Vittorie e sconfitte. L’ex presidente della Camera racconterà tutto. I rapporti difficili con i colonnelli e l’infinita competizione con Berlusconi. Lo scontro finale. E i fallimenti. L’infelice avventura dell’Elefantino, l’ambiziosa sfida (persa) di Futuro e libertà. Le sue colpe e quelle di chi l’ha prima accompagnato e poi mollato per seguire Berlusconi. La sconfitta subita per mano del berlusconismo, prima ancora che di Berlusconi. «Ora che ho fatto un passo indietro dal partito, finalmente, sono libero di dire quello che penso», ripete. 

 Racconterà anche dell’assise di An a Verona, metafora dell’irrisolto rapporto con “Silvio”. Era il 1998 e il futuro Presidente della Camera decise di chiudere i conti con l’anticomunismo. Ma all’improvviso arrivò il Cavaliere, in elicottero. Ospite d’onore, portò in dono ai cinquemila delegati “Il libro nero del comunismo”. Poteva funzionare?

 

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